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10° parte – I documenti acquisiti dal CTU

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    I documenti acquisiti dal CTU

    10° parte – I documenti acquisiti dal CTU

    By Fabrizio Fava | Area Tecnica, Tecnica Forense | 0 comment | 14 Aprile, 2015 | 0

    Parte 10 – Acquisizioni dei documenti durante le operazioni peritali

    Le operazioni peritali sono le attività con le quali il consulente svolge gli accertamenti e le indagini fondamentali per la risposta ai quesiti posti dal magistrato. Dopo avere esaminato le attività peritali del consulente con riguardo a quelle di apertura, all’accesso ai luoghi e alle altre attività, analizziamo ora gli aspetti riguardanti i documenti acquisiti dal consulente e quelli prodotti dalle parti, il processo verbale delle operazioni (o di sopralluogo) e del tentativo di conciliazione.

    I documenti acquisiti dal consulente e quelli prodotti dalle parti.
    Aspetti molto importanti nelle attività del consulente sono i documenti che questi può o non può acquisire nel corso del proprio incarico.

    Il consulente tecnico nel corso dello svolgimento del proprio incarico ha necessità di esaminare e valutare la documentazione al fine di poterne trarre elementi utili in ordine ai quesiti a lui posti dal giudice. L’esame documentale, con le determinazioni conseguenti, spesso si configura come l’aspetto centrale a cui si ancorano le conclusioni del consulente.

    Difatti, dalla consultazione della documentazione si acquisiscono elementi d’indagine, dati e informazioni che, in prima istanza, vengono valutati e apprezzati in relazione alle competenze proprie e specifiche dell’esperto per poi costituire le assunzioni fondanti del giudizio in risposta al quesito.

    Cosicché, gli elaborati progettuali con la documentazione accessoria depositati presso i pubblici uffici diventano elementi basilari per l’espressione di un giudizio di conformità edilizia, così come un computo metrico estimativo è essenziale per valutare l’insieme di opere edilizie svolte nel corso di una ristrutturazione di un fabbricato o ancora i titoli di proprietà diventano necessari per la ricostruzione della titolarità di un immobile.

    Occorre tuttavia precisare che l’acquisizione documentale è una fase assai delicata per il consulente poiché egli diventa responsabile in ordine alla impropria utilizzazione di documenti non ritualmente prodotti in causa, con il conseguente possibile annullamento della consulenza.

    Quando nominato il consulente tecnico di ufficio ritira in udienza i fascicoli delle parti depositati in quello di ufficio che viene conservato presso la cancelleria; nei loro fascicoli le parti hanno versato, conformemente alle regole processuali, tutta la documentazione da loro ritenuta probatoria, utile e conveniente al fine di dimostrare al magistrato il fondamento delle loro ragioni.

    Le regole del rito stabiliscono che le parti abbiano a disposizione dei precisi termini per la produzione documentale e per la presentazione delle loro richieste istruttorie.

    I termini sono dall’udienza 183 cod. proc. civ.:

    • 30 giorni (prima memoria istruttoria: serve essenzialmente a modificare o integrare domande);
    • 30 giorni (seconda memoria istruttoria: è il passaggio nel quale produrre atti, documenti e mezzi – istruttori);
    • 20 giorni (memoria istruttoria di replica: serve essenzialmente a controdedurre sulle assunzione della controparte).

    È importante precisare che i termini suddetti, come il resto di quelli del processo, scontano le interruzioni del feriato (dal 1°agosto al 15 settembre).

    Ciò evidenzia in modo inequivocabile come le parti quindi non possano, nelle fasi successive del processo, produrre nuova e/o diversa documentazione rispetto a quella anzi citata, sempreché, naturalmente, questa non serva ad attestare modificazioni sostanziali intervenute successivamente all’introduzione degli atti del giudizio. Ciò può accadere nel caso, per esempio, del perimento del fabbricato di cui si era domandato l’accertamento delle sue condizioni di stabilità o altre condizioni analoghe.

    Occorre rilevare, quale regola generale, che la condizione vincolistica può essere superata di fronte al manifesto accordo tra le parti; si consenta tuttavia di osservare come appaia ben difficile da ipotizzare siffatta possibilità quando la documentazione che una di queste intenda depositare vada a compromettere gli interessi dell’altra. Vi è invece questa possibilità quando la produzione successiva vada a cogliere gli interessi di entrambe le parti del processo.

    Pertanto, la regola ritualistica generale che sovrintende le attività dell’ausiliario del magistrato pone all’evidenza come il consulente debba fondare il proprio convincimento esclusivamente su documenti ritualmente prodotti nel processo che, evidentemente, sono quelli conosciuti dallo stesso giudice in quanto depositati prima della nomina dell’ausiliare.

    Ricordiamo, a vantaggio di una lettura semplificata, che le parti (ossia i legali e i consulenti tecnici, qualora nominati) a mezzo dell’art. 194 cod. proc. civ. e dell’art. 90 disp. att. cod. proc. civ., possono proporre istanze e osservazioni.

    Istanze.
    Sono richieste che le parti rivolgono all’esperto affinché egli prenda in considerazione aspetti e circostanze inerenti i lavori peritali, oppure inviti a dare corso a particolari accertamenti, specifiche indagini o, ancora, assumere una data decisione in merito a un determinato fatto. In tale senso possono trovare esemplificazione nella detta categoria, l’istanza di svolgere indagini geologiche negli accertamenti tecnici di un terreno, la richiesta di approfondire le verifiche urbanistiche in ordine alla vocazione edificatoria di un’area o, ancora, la richiesta di non tenere conto delle sollecitazioni del tecnico della controparte in quanto fuorvianti rispetto alla finalità del quesito posto dal giudice.

    Osservazioni.
    Nella detta categoria rientrano tutte valutazioni di carattere metodologico, scientifico e tecnico proprie della fase d’intervento dell’esperto. Esempi sono le memorie predisposte dai consulenti di parte.

    La differenza sostanziale tra i due atti è che mentre l’istanza impone all’esperto di dover dare seguito da una precisa azione in virtù di una motivazione proposta dalla parte istante, l’osservazione determina nel consulente del giudice la necessità di riflettere sugli aspetti e circostanze richiamate dalla parte, dovendo essere seguita da una assunzione motivata.

    È il caso proprio delle osservazioni avanzate al CTU durante i lavori peritali, che per il rispetto del contraddittorio e diritto alla difesa, quando trasmessi alla controparte, debbono essere considerati nelle valutazioni dall’esperto fornendone relativa e motivata risposta nei propri assunti conclusivi del lavoro peritale.

    Pur nel rispetto delle garanzie previste dal codice di procedura civile il CTU deve fare molta attenzione a non recepire documentazione, atti e elementi di carattere innovativo e probatorio mai presentati dalle parti e quindi non contenuti nei fascicoli di causa e rilevanti per i fatti storici principali della causa.

    E a tale situazione è legato il dubbio ricorrente che molti esperti del giudice continuano a sollevare; ossia quale condotta si debba attuare nell’ipotesi che i consulenti di parte nell’ambito del proprio intervento introducano documentazione non ritualmente producibile.

    Ed è molto probabile che ciò accada. Sia per la necessità delle parti di “portate acqua al proprio mulino” nella fase della CTU e, si consenta, contando sulla scarsa conoscenza delle regole dello stesso ausiliario sia perché si sfrutta il canale della CTU per introdurre documentazione che per dimenticanza, negligenza o perché non ancora in possesso, non si è prodotto nei termini.

    È questo il caso – occorso qualche tempo fa a questo autore – della consulenza tecnica volta a determinare le funzioni e le caratteristiche pregresse di un sottotetto oggetto di lavori di trasformazione. La eventuale produzione di documentazione fotografica da parte del consulente di parte, di natura innovativa ed esclusiva, volta a colmare la carenza degli elementi d’indagine, nel caso che i reperti fotografici non siano stati acquisiti agli atti del processo ritualmente e vengano rifiutati da controparte, deve essere debitamente censurata dal consulente tecnico di ufficio. Evidentemente ciò assume diversa rilevanza nella ipotesi che questa repertazione fotografica sia allegata alla documentazione di progetto depositata presso l’ufficio tecnico comunale e quindi acquisibile d’ufficio dal consulente del giudice o sia integrativa di quella già depositata (magari a colori rispetto a quella depositata in bianco e nero).

    Tale condizione porta a distinguere la documentazione da considerare da parte del consulente tra quella da lui acquisita a mezzo del proprio ufficio e quella invece depositata direttamente dalle parti.

    Documentazione acquisita d’ufficio.
    È quella documentazione che il consulente acquisisce direttamente attraverso le proprie indagini e che con ogni evidenza rientra nei potersi dello stesso e, se vogliamo, nello stesso scopo e finalità per cui è stato nominato. Tra questi possiamo indicare la documentazione progettuale conservata presso il comune, quella catastale e quanto altro di tal genere. L’esame documentale, con le determinazioni conseguenti, spesso si configura come l’aspetto centrale a cui si ancorano le conclusioni del consulente. Difatti dalla consultazione della documentazione si acquisiscono elementi d’indagine, dati ed informazioni che, in prima istanza, vengono valutati ed apprezzati in relazione alle competenze proprie e specifiche dell’esperto per poi costituire le assunzioni fondanti del giudizio in risposta al quesito.

    Cosicché gli elaborati progettuali con la documentazione accessoria depositati presso i pubblici uffici diventano elementi basilari per l’espressione di un giudizio di conformità edilizia così come un computo metrico estimativo è essenziale per valutare l’insieme di opere edilizie svolte nel corso di una ristrutturazione di un fabbricato od ancora i titoli di proprietà diventano necessari per la ricostruzione della titolarità di un immobile.

    È quella tipologia di documentazione che notoriamente non ha carattere di esclusività poiché, nelle modalità e con le autorizzazioni dovute per legge in taluni, può essere acquisita dal consulente del magistrato. Il caso più evidente tra queste è quella della planimetria catastale conservata agli atti degli uffici dell’Agenzia del territorio.

    Documentazione prodotta dalle parti.
    Questa è quella che può determinare problematiche se diventa essenziale e probatoria per le determinazioni demandate al consulente e rilevante per i fatti storici principali della causa. Lo diventa certamente se oltre che essere innovativa è soprattutto esclusiva. Il consulente dovrà quindi essere molto vigile nel corso delle attività peritale su quale documentazione le parti intendano produrre.

    Sono sicuramente da rifiutare tutti i documenti di carattere probatorio e decisori per l’esito della consulenza tecnica mai presentati: tra questi – solo a scopo illustrativo e lasciando il resto all’ampia immaginazione del lettore – possiamo segnalare:

    • fattura per richiesta corrispettivo;
    • reperti fotografici attestanti lo stato pregresso di luoghi;
    • contratto d’appalto per attestare i lavori di cui è causa.

    Come si è detto questi, per essere rifiutati, debbono essere di carattere esclusivo (ossia in possesso del soggetto o soggetti interessati) e non reperibili attraverso canali ufficiali. In questa ultima ipotesi, con ogni evidenza, sarà il consulente attraverso la sua attività d’ufficio a recuperare il documento in modo da acquisirlo d’ufficio anche se di carattere innovativo.

    Tra i poteri del consulente occorre ricordare vi è anche quella statuita dall’art.194 cod. proc. civ. – previa autorizzazione del giudice – di attingere notizie non rilevabili dagli atti di ufficio attraverso l’assunzione d’informazione da terzi ad anche dalle parti. Ciò, in una lettura combinata con quanto appena accennato, potrebbe essere utile per un consulente che si trovi nella condizione di non poter accettare taluni documenti ma che abbia cognizione che quegli aspetti debbano trovare un adeguato approfondimento.

    In una considerazione generale conclusiva non si può fare a meno di osservare che l’esperto deve fondare le proprie conclusioni sulla documentazione conosciuta dal giudice e che è stata ritualmente depositata, nelle forme previste, nel corso del procedimento non potendo, nel corso delle proprie indagini peritali e in particolare in presenza del dissenso di una parte, raccogliere documenti che avrebbero dovuto essere depositati nelle forme riconosciute dalle regole codicistiche agli atti del processo.

    Di tale difformità è bene ricordare come per tutte quelle commesse nel corso della consulenza tecnica, nel caso di annullamento della consulenza tecnica, risponde il consulente tecnico di ufficio attraverso la propria responsabilità e non la parte che l’ha commessa.

    Il processo verbale delle operazioni.
    Il consulente, al compimento delle proprie attività di sopralluogo o di operazioni peritali, redige il c.d. processo verbale delle operazioni o di sopralluogo. Questo è un atto con cui egli verbalizza le generalità dei soggetti presenti, le attività svolte, gli atti consultati e, nell’evenienza, acquisiti, le osservazioni e le istanze avanzate dalle parti e i documenti eventualmente consegnati dalle stesse.

    Occorre osservare che, a norma dell’art. 195 cod. proc. civ., l’esperto non è obbligato a redigere tale atto nel caso in cui le operazioni si svolgano nell’assenza del giudice. E, infatti, non vi è nullità della consulenza tecnica qualora l’esperto, a conclusione delle proprie operazioni non abbia provveduto a redigere l’atto.1

    1. Non dà luogo a nullità della consulenza tecnica l’omessa verbalizzazione delle operazioni compiute senza l’intervento del giudice così come la mancata indicazione nella relazione delle operazioni compiute da consulenti nominati in un precedente grado di giudizio, delle osservazioni e delle istanze delle parti e dei loro consulenti, non essendo comminata alcuna nullità per violazione dell’art. 195 cod. proc. civ. (Cass., Sez. II, sent. n. 3680, 14.4.1999).

    Il magistrato ormai costantemente demanda al consulente ogni attività d’indagine e di sopralluogo determinando la possibilità per questi di omettere la compilazione del processo verbale delle proprie operazioni. In realtà l’esperienza ne suggerisce la redazione.

    Art. 195 cod. proc. civ. – Processo verbale e relazione: Delle indagini del consulente si forma processo verbale, quando sono compiute con l’intervento del giudice istruttore, ma questi può anche disporre che il consulente rediga relazione scritta. Se le indagini sono compiute senza l’intervento del giudice, il consulente deve farne relazione, nella quale inserisce anche le osservazioni e le istanze delle parti. La relazione deve essere depositata in cancelleria nel termine che il giudice fissa.

    Invero il processo verbale delle operazioni è assai utile per indicare i soggetti presenti e le loro generalità, la descrizione delle attività svolte e dei documenti esaminati e acquisiti, delle assunzioni del consulente tecnico di ufficio, delle eventuali istanze e osservazioni proposte dai presenti e in ultimo, ma non meno importante, dell’ora, della data e del luogo di ripresa delle operazioni al fine di non dover comunicare, nei modi previsti dalla prassi, alle parti l’incombenza. Pertanto, il processo verbale dovrebbe contenere:

    • ora, data e luogo dello svolgimento delle operazioni;
    • soggetti presenti;
    • eventuale autorizzazione ricevuta per l’accesso ai luoghi;
    • attività compiute;
    • risultanze delle stesse;
    • documenti acquisiti e/o consegnati dalle parti;
    • osservazioni e istanze delle parti;
    • fissazione del proseguimento delle operazioni.

    È da sconsigliare tuttavia, come questo autore ha qualche volta registrato, che il CTU faccia diventare il processo verbale una vera e propria “perizia” con commenti, analisi degli accertamenti, scambi di osservazioni articolate e magari risposte, seppur sintetiche, in ordine ai quesiti posti.

    Ciò non è funzionale al compimento corretto dell’incarico che deve essere espletato mediante una relazione peritale in cui riporta ampiamente tutti gli aspetti tra cui quello delle operazioni peritali.

    Il processo verbale deve essere sottoscritto da tutti coloro che sono stati registrati in esso e l’eventuale rifiuto di firma deve essere segnalato dal consulente mediante specifica indicazione.

    Occorre osservare che la compilazione del processo verbale appare indispensabile nel momento in cui si siano verificate condizioni tali da ostacolare o addirittura impedire il regolare e corretto svolgimento delle operazioni del consulente o per descrivere circostanze che richiedano l’assunzione di una constatazione in contraddittorio tra le parti.

    Il processo verbale delle operazioni svolge pertanto una funzione essenziale per il rispetto del rito e per l’attività svolta dal consulente, anche con riferimento al riconoscimento della complessità, difficoltà e pregio delle operazioni compiute. Esso svolge, per le consulenze tecniche che si articolano su di un ampio lasso temporale, anche una funzione storica delle operazioni svolte.

    È da segnalare, infine, che il processo verbale delle operazioni è un atto pubblico ed, essendo redatto da un pubblico ufficiale, fa piena prova fino a querela di falso.

    Il tentativo di conciliazione.
    Il codice di procedura civile riconosce all’esperto del giudice la possibilità di esperire il tentativo di conciliazione della controversia nell’ambito delle attività dell’art. 696-bis e art. 198 cod. proc. civ.

    Inoltre da sempre, e oggi con maggiore frequenza, attesa anche la grave crisi in cui versa il sistema giudiziario, il giudice chiede al proprio ausiliario di espletare un tentativo di conciliazione della controversia anche quando tale iniziativa non rientri nell’alveo della norma che presiede l’incarico al consulente, talvolta formulando l’incarico nello stesso quesito.

    Per quanto attiene alla prima norma essa riguarda la controversia concernente «… ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito (…)». Si pensi – limitando alla sola casistica di cause in materia tecnica – alla vastità di controversie in materia di contratti di appalto, di compravendita immobiliare, di contabilità lavori, di esecuzione di lavori edili e altro ancora.

    La seconda norma concerne «… l’esame di documenti contabili e registri…». Il tentativo di conciliazione della controversia è sempre esistito nella pratica reale delle attività di consulenza tecnica di ufficio.

    Ancor prima che si parlasse di conciliazione e mediazione sociale nel nostro Paese, questa trovava già (silenziosa) applicazione negli incarichi di CTU nel riconoscimento di un diritto sostanziale che, nella prassi, veniva in soccorso a un sistema di regolamentazione formale, spesso in grave ed endemica empasse.

    Il consulente – laddove sussistano le condizioni elementari – dovrebbe sempre poter offrire alle parti una prospettazione diversa della situazione conflittuale e quindi suggerire una possibile regolazione della lite mediante una strada conciliativa, poiché la maggior parte dei conflitti in causa giudiziaria offrono la possibilità di essere risolti con una conciliazione. Questo perché le cause si sviluppano in una strategia giuridico-processuale basata essenzialmente sul confronto tra le pretese delle parti e sulla richiesta di una espressione di giudizio fondata sul diritto. La soluzione definisce il torto o la ragione delle parti sulla base del giudizio di comportamenti e azioni passate.

    Ecco che quindi una possibilità di ricercare un accordo, concentrandosi sugli interessi e necessità delle parti e quindi mutando il contesto del confronto tra le stesse, è possibile e, anzi, diremmo auspicabile.

    D’altra parte la conciliazione è attività che non può essere improvvisata in quanto un buon tecnico non necessariamente è un buon conciliatore, anche se il possesso di cognizioni tecniche specifiche può facilitare la sua opera.

    La verità è che la nozione stessa di conciliazione è ancora largamente sconosciuta alla maggior parte degli operatori del processo: l’idea comune è che sia compito del conciliatore individuare una soluzione “giusta” e convincere gli (in certi casi imporre agli) interessati alla soluzione prescelta.

    La realtà è molto diversa. Infatti, la funzione precipua del conciliatore è quella di individuare non una soluzione “giusta” – questo è compito del giudice o dell’arbitro – quanto una soluzione “conveniente” per gli interessati. E ciò è possibile solo se dal piano dei diritti si passa al piano degli interessi.


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    Fabrizio Fava

    Fabrizio Fava, oltre ad essere stilista designer del fashion system con specializzazione nella costruzione del Brand – Marchio, creazione e gestione dell’immagine aziendale e del prodotto, possiede una conoscenza trasversale e polivalente nella costruzione del prodotto moda. Vanta del riconoscimento di tecnico esperto dall’Ente Camerale di Macerata e con equivalenza dal Tribunale dove è iscritto come CTU e dalla Procura della Repubblica di Macerata come Perito. In ambito giudiziario apporta la propria consulenza tecnica legale per le categorie Tessili e Filiere, Abbigliamento in genere, Maglieria, Calzature, Pelletterie, Accessori Moda, Attività di Comunicazione Pubblicitaria e Proprietà Industriale (contraffazioni). Detiene la carica di "Responsabile della Delegazione della Provincia di Macerata” e di “Consigliere Nazionale" per il Collegio dei Periti Italiani. Dal 2021 è direttore tecnico della rivista Tech Art Shoes, della casa editrice Tecniche Nuove Spa di Milano.

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