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Sanzione a Shein per greenwashing

Sanzione a Shein per greenwashing

By Fabrizio Fava | Norme & Leggi | Comments are Closed | 7 Agosto, 2025 | 0

Sanzione a Shein per greenwashing: cosa insegna questo caso?

La recente sanzione a Shein per greenwashing da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha riacceso i riflettori su un tema cruciale per il mondo della moda: la comunicazione ambientale. Ma cosa si cela dietro il concetto di greenwashing? E come possono i brand tutelarsi da errori che possono costare caro, sia in termini economici che reputazionali?

Cos’è il greenwashing e perché Shein è finita nel mirino

Il greenwashing è una pratica che consiste nel presentare un’azienda o un prodotto come sostenibile, ecologico o a basso impatto ambientale senza che ciò sia supportato da dati verificabili o certificazioni trasparenti.

Nel caso Shein, l’AGCM – con provvedimento del 4 agosto 2025 – ha evidenziato come claim del tipo “moda sostenibile” o “realizzato con materiali riciclati” risultassero privi di fondamento oggettivo. Le dichiarazioni non erano accompagnate da prove tecniche sufficienti, né da strumenti che permettessero al consumatore di verificarle.

Sono state contestate, in particolare, affermazioni pubblicate nelle sezioni #SHEINTHEKNOW ed evoluSHEIN by Design, dove l’azienda dichiarava:

  • utilizzo significativo di materiali riciclati;
  • obiettivi di riduzione delle emissioni del 25% entro il 2030 e del 50% entro il 2050;
  • strategie di economia circolare.

Secondo l’Antitrust, tali messaggi erano vaghi, non verificabili e idonei a fuorviare il consumatore medio.

Risultato: una multa da 1 milione di euro per pubblicità ingannevole, con riferimento agli articoli 21-23 del Codice del Consumo. Un segnale chiaro che la sostenibilità, se non dimostrata, può trasformarsi in violazione.

Fast fashion sotto accusa: il contesto europeo si stringe

Shein è solo la punta dell’iceberg. L’intero settore del fast fashion è sotto esame in Europa per:

  • l’elevato impatto ambientale;
  • l’uso intensivo di risorse e manodopera a basso costo;
  • la bassa durabilità dei capi.

L’Unione Europea sta rispondendo con strumenti normativi sempre più stringenti:

  • Direttiva Green Claims, che vieta claim generici come “eco-friendly” se non supportati da evidenze documentate e verificate da terzi indipendenti;
  • Regolamento (UE) 2024/1781 sul Passaporto Digitale del Prodotto (DPP), che imporrà la tracciabilità digitale e informazioni verificabili sull’intero ciclo di vita del prodotto;
  • Direttiva Omnibus, già in vigore, che potenzia i controlli sulle pratiche commerciali scorrette e prevede sanzioni più elevate.

Il messaggio è chiaro: la trasparenza non è più opzionale e il termine per il recepimento nazionale delle nuove regole sui green claims è fissato al 27 marzo 2026.

Green claim e limiti legali: cosa dice la normativa

In ambito comunicativo, i cosiddetti green claim devono oggi rispettare criteri precisi per non indurre in errore il consumatore. Le linee guida europee richiedono che le affermazioni ambientali siano:

  • Chiare e specifiche (niente frasi vaghe o generiche);
  • Supportate da prove tecniche affidabili (come analisi di laboratorio, certificazioni di filiera o audit indipendenti);
  • Verificabili in modo trasparente, anche da parte del consumatore.

Nel caso Shein, la mancanza di elementi oggettivi e verificabili ha fatto scattare la sanzione. Ma il rischio vale per chiunque utilizzi affermazioni non documentabili del tipo “100% sostenibile” o “amico dell’ambiente”.

Rischi concreti per i brand moda: non solo multe

Le conseguenze per chi sbaglia nella comunicazione ambientale non si limitano a una sanzione amministrativa. I rischi includono:

  • Azioni collettive da parte dei consumatori;
  • Rimozione dei prodotti da marketplace e piattaforme online;
  • Oscuramento di campagne pubblicitarie non conformi;
  • Perdite reputazionali difficilmente recuperabili.

A questo si aggiunge il crescente uso da parte dei motori di ricerca e degli e-commerce di filtri ESG (ambientali, sociali e di governance) per penalizzare brand non allineati ai principi di sostenibilità.

Come tutelarsi? Il valore della consulenza peritale

Oggi i brand non possono più permettersi approssimazioni. La consulenza tecnica e peritale preventiva diventa uno strumento chiave per:

  • Verificare la fondatezza dei green claim utilizzati su etichette, siti, materiali promozionali;
  • Fornire un supporto documentale completo, comprensivo di analisi, test e certificazioni;
  • Redigere contenuti ambientali conformi alla normativa UE, evitando formulazioni rischiose.

Chi investe in trasparenza e rigore informativo si tutela non solo sul piano normativo, ma anche su quello commerciale e reputazionale.

Vuoi evitare sanzioni come quella subita da Shein?

Prima di addentrarti nell’argomento, forse ti piacerebbe leggere anche altri articoli correlati:

  • Green Claims nella moda: stop ai claim vaghi
  • REACH e responsabilità prodotto moda

Se invece hai dubbi Richiedi una verifica tecnica personalizzata per i tuoi claim ambientali attraverso la nostra AREA di CONSULENZA PERITALE e ricordati di Iscriverti alla newsletter per ricevere aggiornamenti normativi, casi studio reali e strumenti pratici per la moda sostenibile.

In sintesi

Cosa si intende per greenwashing nel settore moda?

È l’uso di dichiarazioni ambientali non dimostrabili, usate per migliorare l’immagine di un brand senza cambiamenti reali nei processi produttivi.

 

Che documentazione serve per dichiarare un prodotto sostenibile?

Certificazioni ufficiali (es. GOTS, OEKO-TEX, ISO), audit tracciabili, dichiarazioni ambientali di prodotto (EPD), tracciabilità digitale (es. DPP).

 

Cosa può fare un’azienda per evitare multe?

Verificare i propri claim con una consulenza peritale, aggiornare le policy comunicative, formare il team marketing su green claims e norme UE.

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Fabrizio Fava

Fabrizio Fava è uno stilista designer esperto nella costruzione del brand, nella creazione e gestione dell'immagine aziendale e del prodotto, con una profonda conoscenza trasversale del settore moda, riconosciuto come tecnico esperto dalla Camera di Commercio di Macerata e iscritto al Tribunale come CTU e alla Procura della Repubblica di Macerata come Perito, offrendo consulenza tecnica legale in ambito tessile, abbigliamento, maglieria, calzature, pelletteria, accessori moda, comunicazione pubblicitaria e proprietà industriale, contrastando le contraffazioni. Responsabile della Delegazione di Macerata e Consigliere Nazionale del Collegio dei Periti Italiani, è anche giornalista pubblicista, collaborando con diverse testate ed avendo diretto una rivista di settore a Milano.

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