Specchiata moralità negli albi CTU e Periti:
tra requisito etico e necessità di riforma applicativa
La questione del requisito della specchiata moralità negli albi CTU e Periti iscritti presso i tribunali italiani è oggetto, da tempo, di dibattito giuridico e professionale. Il tema diventa particolarmente rilevante nei casi in cui il diniego di iscrizione o la cancellazione dall’albo vengono motivati con riferimento a condanne penali ormai riabilitate.
A testimonianza dell’attualità del problema, si segnala – a fini informativi – l’articolo del Corriere Adriatico che sintetizza una decisione della Corte d’Appello di Ancona. I giudici hanno ribadito che la moralità va valutata sulla condotta presente, e non su eventi ormai privi di effetti giuridici.
L’articolo che segue intende offrire un contributo di riflessione su questi temi, con finalità esclusivamente informative e di approfondimento professionale.
Premessa
Nel contesto della giustizia italiana, l’iscrizione agli albi dei consulenti tecnici d’ufficio (CTU) e dei periti rappresenta un passaggio necessario per esercitare incarichi tecnici nell’ambito processuale. Oltre ai requisiti professionali e di esperienza, la normativa vigente richiede che l’aspirante sia in possesso di un requisito definito come “specchiata moralità”.
Tale espressione – non accompagnata da una definizione univoca – ha sollevato nel tempo dibattiti giuridici e pratici, soprattutto per quanto riguarda l’effettiva valutazione della moralità da parte degli organi preposti. L’analisi che segue, fondata su fonti normative e giurisprudenziali, affronta il tema in chiave sistemica, con riferimento a casi-tipo documentati e senza alcun intento riferibile a situazioni o persone determinate.
La specchiata moralità: fondamenti e profili applicativi
Il riferimento alla “specchiata moralità” appare in molte disposizioni regolamentari relative all’ammissione agli albi giudiziari. Si tratta di una clausola di garanzia, volta ad assicurare che chi coopera con il sistema giustizia abbia un comportamento personale e professionale improntato a correttezza, lealtà e integrità.
Tuttavia, nella prassi, tale criterio ha assunto forme applicative difformi e talvolta opinabili, specie quando fondato su precedenti penali già oggetto di riabilitazione, o su circostanze non più attuali. Il rischio è quello di trasformare un principio etico in un automatismo escludente, non sempre coerente con i principi costituzionali di proporzionalità, ragionevolezza e reintegrazione sociale.
Il caso-tipo: rigetto e cancellazione per moralità non attuale
In alcuni procedimenti amministrativi relativi all’albo periti e CTU, si sono registrati provvedimenti di rigetto o cancellazione motivati da riferimenti a precedenti penali ormai estinti mediante gli strumenti previsti dalla legge (ad esempio, la riabilitazione ex art. 178 c.p.).
Tali casi, portati al vaglio delle corti competenti, pongono l’attenzione su un punto centrale: la valutazione della moralità deve riferirsi alla condotta attuale, e non limitarsi a un richiamo formale a fatti pregressi non più giuridicamente rilevanti. Quando ciò non accade, si genera un effetto discriminatorio, contrario al principio di reintegrazione previsto dalla nostra Costituzione.
La giurisprudenza di riferimento
Numerose pronunce di legittimità e di merito hanno chiarito che la riabilitazione comporta la cessazione degli effetti penali e la rimozione degli ostacoli amministrativi che deriverebbero dalla condanna originaria:
- Cass. Pen., Sez. I, n. 45164/2016: “La riabilitazione estingue gli effetti penali della condanna e fa venir meno le preclusioni, salvo diversa previsione espressa”.
- T.A.R. Lazio, n. 9225/2021: “Il requisito della moralità deve essere valutato sulla base di elementi concreti riferiti al presente”.
- Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Sicilia, n. 882/2020: “La condotta successiva alla condanna assume rilievo primario nella valutazione dell’idoneità professionale”.
Punto critico: la preparazione delle commissioni
L’efficacia del sistema di valutazione degli albi giudiziari dipende anche dalla qualificazione e dalla preparazione giuridico-tecnica dei componenti delle commissioni esaminatrici.
Le commissioni che operano in sede di iscrizione o revisione devono essere in grado di valutare con cognizione di causa i profili normativi, giurisprudenziali e deontologici legati al concetto di specchiata moralità. In mancanza di ciò, si rischia non solo di adottare provvedimenti infondati, ma anche di indebolire la fiducia del cittadino e dei professionisti nell’imparzialità dell’istituzione.
Una valutazione fondata su presunzioni astratte, priva di approfondimento giuridico o di contestualizzazione della condotta attuale del professionista, può avere effetti distorsivi e contribuire alla percezione di una giustizia autoreferenziale, più attenta alla forma che alla sostanza.
In epilogo
Il requisito della specchiata moralità resta un presidio necessario, ma per conservarne la legittimità deve essere applicato in modo equilibrato, fondato e proporzionato. Una lettura rigida e automatica rischia di minare i valori che essa stessa dovrebbe tutelare: la trasparenza, la competenza e l’integrità di chi collabora con il sistema giudiziario.
In un sistema maturo, l’etica professionale non coincide con l’assenza di errori nel passato, ma con la capacità di agire con responsabilità e coerenza nel presente, anche dopo percorsi di riabilitazione giuridica e umana pienamente riconosciuti dall’ordinamento.
Disclaimer
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