I prodotti di abbigliamento (con esclusione del vestiario da lavoro e grembiuli, divise ed uniformi, etc.), in termini economici di consumo, sono identificabili anche come “beni materiali” e/o come “beni materiali moda” e pertanto classificabili come “beni semidurevoli”. Quest’ultimi (beni materiali moda), non trattandosi di beni di prima necessità, sono subordinati e notevolmente legati alle VARIABILI di tendenza e d’innovazione tecnologica e quindi, si rapportano alle rapide mutazioni “stagionali” dei dettami della moda e del costume; funzione di sopravvivenza o ciclo di vita.
1. Tre passaggi critici
Lo sviluppo continuo di nuovi progetti creativi è il tratto fondamentale dell’industria della moda, questo alto tasso di innovazione si traduce di per sé in un alto livello di rischio. L’introduzione di ogni nuovo prodotto, che richiede il lancio di ogni nuovo progetto creativo, porta infatti con sé una quota di rischio d’errore (cioè di progettare un prodotto che i consumatori non vogliono o di non progettare ciò che i consumatori vogliono), che trova alimento in almeno tre momenti dello sviluppo dell’innovazione, ognuno dei quali può essere causa di scostamenti molto consistenti dei ricavi del progetto creativo o del nuovo prodotto, rispetto a quelli attesi:
– il rischio di previsione: legato alla corretta previsione dei fattori a cui il consumatore attribuisce valore: il produttore è in grado di intercettare i segnali mutevoli e poco prevedibili del mercato?
– il rischio di progettazione: il design del prodotto incorpora veramente i fattori che sono stati oggetto della previsione?
– il rischio di industrializzazione: nella fase di conversione da progetto a realizzazione pratica in produzione è possibile mantenere tutte le caratteristiche previste nella progettazione?
Questi fattori di rischio, comuni a tutte le industrie in cui l’innovazione ha un ruolo importante, sono amplificati nelle industrie culturali e nella moda. Due dei tre fattori di rischio in particolare presentano aspetti interessanti che saranno approfonditi nelle prossime pagine: il rischio di previsione, per le caratteristiche del mercato cui i prodotti culturali si rivolgono e il rischio di progettazione, per l’importanza che sia i consumatori che i creativi attribuiscono alla originalità del prodotto e per le complicazioni nell’interazione e tra creativi e non creativi nell’industria e per l’indipendenza dei creativi.
L’incertezza riguardo al gradimento da parte dei consumatori cresce al crescere dell’intensità del contenuto moda dei capi. E’ molto basso nei prodotti basici e per quelli continuativi, tra questi ultimi vi sono anche i classici di ogni fascia prezzo, incluse quelle del lusso. Cresce, sia nelle fasce di prezzo medie che in quelle del lusso e per tutti i prodotti, scelti per il contenuto di novità la cui vita commerciale si limita ad una stagione.
I prodotti dell’industria culturale possono avere una vita commerciale breve, si pensi alle canzoni che vivono un sola estate, ad uno spettacolo teatrale che si esaurisce in una stagione, o ancora ad un grande evento pubblico, ma possono anche essere dei classici di lunga durata che continuano a generare reddito, sia per i produttori che per gli autori, grazie a royalties e diritti d’autore della durata di diversi decenni. Anche prodotti, come un film, che sono distribuiti nelle sale per brevi periodi, possono avere una lunga seconda vita sul mercato dell’home video,o con i passaggi in televisione, come si vedrà più avanti, inoltre, questo prolungamento della vita commerciale avviene a costi minimi, per il basso costo di riproduzione (duplicazione in cassette o DVD).
Anche per i prodotti della moda si verifica una simile dicotomia, si pensi alla classicità dei jeans Levi’s 501, della Kelly bag a cui nel 1956 Hermès diede il nome dell’attrice Grace Kelly, o del tubino nero che Chanel propose nel 1926 e al contrario ai molti modelli e prodotti vissuti solo pochi mesi.
Nella moda la prevalenza è però di prodotti a vita commerciale breve. Una definizione più stringente di moda nel senso indicato all’inizio di questo capitolo (moda come cambiamento) anzi tenderebbe a limitare il dominio dell’industria della moda ai prodotti a breve vita commerciale.
In realtà per la maggior parte delle imprese che producono moda vale la regola che ogni collezione incorpora una quota più o meno elevata di capi a vita breve (innovativi) ed una quota di capi più continuativi. Nel caso di un brand con elevato contenuto moda i capi mantengono un ciclo di vita breve di non più di un paio di stagioni.
Quando entra in gioco la moda, la vita commerciale di un capo di vestiario diventa quindi molto breve, spesso inferiore ai quattro mesi. L’investimento in ricerca stilistica e sviluppo che il modello di business tradizionale della moda, quello del ciclo stagionale programmato nell’insieme della filiera produttiva – dal filato al capo confezionato – si realizza generalmente in un periodo di circa due anni si brucia in pochi mesi, o per meglio dire il valore per il consumatore generato nel lungo processo di ideazione e produzione di tutta la filiera può approssimarsi a zero alla fine della stagione di vendita. In questo la moda è seconda solo a certi prodotti strettamente legati alle ricorrenze, come ad esempio le uova di Pasqua, lo spumante e i dolci tipici del Natale, i viaggi organizzati.
La combinazione di scarsa prevedibilità e frammentazione dei comportamenti dei consumatori, con la rapidità con cui il ciclo di vita di un prodotto si esaurisce è tra le cause della scarsa diffusione nelle imprese della moda dello strumento della ricerca di mercato che ha nella moda una influenza sulla progettazione dei capi e sul processo creativo molto ridotta, largamente inferiore a quella che ha nei produttori di beni di largo consumo. “Nessun osservatore esterno, per quanto qualificato, è in grado di produrre uno studio di mercato che sia in grado di prevedere quanti capi si venderanno della giacca X nel tessuto Y venduta al prezzo Z” (Maramotti, 2000). Questa affermazione ricalca quella storica di William Goldman, a proposito dell’industria del cinema in cui il principio base che presiede alla formulazione di previsioni sul mercato è quello del no body knows (Goldman, 1984).
Secondo Goldman, come secondo Maramotti, i produttori e i creativi, all’interno delle imprese possiedono una sensibilità al mercato e una conoscenza dei passati successi ed insuccessi sulla base delle quali cercano di prevedere al meglio gli esiti di un nuovo progetto, un film o una collezione, ma, almeno nella fase iniziale del progetto sono in grado solo in minima parte di anticiparne il successo o l’insuccesso.
2. Il rischio di previsione nel prodotto moda >> |
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