Greenwashing e moda: le 5 lezioni dal caso Shein
La recente sanzione comminata a Shein dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha riportato al centro del dibattito un tema sempre più rilevante per il settore moda: la credibilità della comunicazione ambientale. Al di là dell’importo della multa e della notorietà del marchio coinvolto, il caso offre almeno 5 lezioni dal caso Shein sul Greenwashing che ogni azienda del fashion system dovrebbe imparare per evitare rischi legali, reputazionali e commerciali.
1 – Le dichiarazioni ambientali non possono essere generiche
Il primo errore evidenziato nel caso Shein riguarda l’uso di espressioni come “moda sostenibile” o “realizzato con materiali riciclati” senza dati oggettivi a supporto.
Le autorità, in Italia e in Europa, stanno adottando un approccio zero tolleranza verso i green claim vaghi, imponendo che ogni affermazione sia:
- Specifica e circostanziata;
- Supportata da prove tecniche affidabili;
- Verificabile dal consumatore.
2 – La trasparenza è un requisito legale, non più un’opzione
Con l’entrata in vigore della Direttiva Green Claims e del Regolamento (UE) 2024/1781 sul Passaporto Digitale del Prodotto, le aziende dovranno fornire informazioni dettagliate e tracciabili sull’intero ciclo di vita dei prodotti.
Il termine di recepimento delle nuove regole sui green claims è fissato al 27 marzo 2026: da quel momento, le dichiarazioni ambientali prive di fondamento potranno comportare sanzioni pesanti.
3 – Il greenwashing danneggia anche il posizionamento online
Oltre alle multe, il greenwashing può portare a:
- Rimozione dei prodotti da marketplace e piattaforme e-commerce;
- Penalizzazioni SEO da parte dei motori di ricerca;
- Oscuramento di campagne pubblicitarie non conformi.
In un’epoca in cui le ricerche online integrano filtri ESG, i brand non trasparenti rischiano di essere esclusi dai risultati più visibili.
4 – La prevenzione passa da controlli interni e perizie indipendenti
Un approccio preventivo può evitare errori costosi.
Questo significa:
- Verificare la fondatezza di ogni claim ambientale prima della pubblicazione;
- Conservare prove documentali (audit di filiera, certificazioni, analisi di laboratorio);
- Coinvolgere consulenti tecnici e peritali per un controllo indipendente.
5 – La formazione del team marketing è fondamentale
Spesso il greenwashing non nasce da un’intenzione fraudolenta, ma da una comunicazione troppo entusiastica e poco precisa.
Formare il personale su:
- Normativa UE e nazionale;
- Requisiti specifici per l’uso di claim ambientali;
- Differenze tra messaggi promozionali e dichiarazioni verificabili.
Questo riduce il rischio di violazioni involontarie e aumenta la qualità percepita del brand.
Un’opportunità per il settore moda
Il caso Shein, se interpretato correttamente, non è solo un monito: è anche un’occasione per ripensare la comunicazione ambientale in chiave di rigore e trasparenza.
Chi saprà dimostrare la sostenibilità con dati concreti e verificabili potrà guadagnare vantaggio competitivo, fiducia del consumatore e migliore visibilità online.
Vuoi evitare errori di comunicazione ambientale e rischi di sanzioni?
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In sintesi
Qual è la differenza tra green marketing e greenwashing?
Il green marketing comunica aspetti di sostenibilità reali e verificabili, mentre il greenwashing utilizza affermazioni ingannevoli o non supportate.
Come si verifica un green claim?
Attraverso documentazione certificata, audit indipendenti e analisi di laboratorio che confermino quanto dichiarato.
Quali sono i rischi per chi pratica greenwashing?
Sanzioni economiche, danni reputazionali, rimozione dai marketplace e perdita di visibilità online.
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