Nel seguente articolo vi illustriamo una panoramica sulla normativa civilistica, fiscale e sui principi contabili dedicati alle rimanenze in magazzino e sui possibili metodi di valutazione. Ma sapevi che esistono anche metodi estimativi riguardante un settore specifico come quello del tessile abbigliamento che possono dare valutazioni discordanti da quelle ordinarie?
Al termine dell’esercizio l’imprenditore ha la necessità di inventariare e classificare le rimanenze di prodotti finiti e merci, semilavorati e materie prime rimaste in magazzino.
La valutazione delle rimanenze di magazzino comprende una serie di stime da cui derivano delle scritture contabili di assestamento; nello specifico queste valutazioni sono classificabili come scritture contabili di rettifica necessarie per “rimandare al futuro costi e ricavi che si sono manifestati da un punto di vista finanziario ma che non sono di competenza economica dell’esercizio.”
Vediamo di seguito come stimare nel migliore dei modi le rimanenze alla luce dei criteri di valutazione dettati dal codice civile e dai principi contabili.
La valutazione delle rimanenze di magazzino secondo il codice civile
L’art. 2424 del Codice civile pone le rimanenze di magazzino nella voce attivo circolante e le classifica in:
- materie prime, sussidiarie e di consumo;
- prodotti in corso di lavorazione e semilavorati;
- lavori in corso su ordinazione ;
- prodotti finiti e merci;
- acconti.
La norma generale dettata dal codice civile riguardo al criterio di valutazione delle rimanenze finali di magazzino è quello definito dall’articolo 2426 del codice civile secondo cui:
“le rimanenze devono essere iscritte al costo d’acquisto per le merci e le materie prime, o al costo di produzione, se si tratta di prodotti finiti, semilavorati e prodotti in corso di lavorazione. Nel caso sia minore, il valore da considerare è quello desumibile dall’andamento di mercato”
Per valore di mercato si intende il prezzo di vendita delle merci e dei prodotti finiti nel corso della normale gestione, avuto riguardo delle informazioni desumibili dal mercato, al netto dei presunti costi di completamento e costi diretti di vendita quali ad esempio il trasporto, provvigioni, imballaggi.
L’articolo 2426 definisce più dettagliatamente il concetto di costo d’acquisto e il costo di produzione:
“Nel costo di acquisto si computano anche i costi accessori. Il costo di produzione comprende tutti i costi direttamente imputabili al prodotto. Può comprendere anche altri costi, per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto, relativi al periodo di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene può essere utilizzato; con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione interna o presso terzi”
Per costo d’acquisto quindi si intende il prezzo effettivo d’acquisto più gli oneri accessori (costi di trasporto, dogana etc.) ad esclusione degli oneri finanziari. I resi, gli sconti, gli abbuoni, i premi si portano in diminuzione dei costi.
Il costo di produzione può invece anche comprendere gli oneri finanziari attribuibili al prodotto e maturati fino al momento in cui il bene viene commercializzato o comunque utilizzato, a condizione che derivino da un finanziamento specificatamente assunto a fronte di voci che richiedono un processo produttivo di vari anni prima di poter essere vendute e sempreché l’onere degli interessi sia stato realmente sostenuto.
La valutazione delle rimanenze di magazzino secondo i principi contabili
L’OIC 13 rimanda alle disposizioni civilistiche nel rispetto del principio di prudenza:
“le rimanenze sono valutate in bilancio al minore tra il costo di acquisto o produzione e il valore di realizzazione desumibile dal mercato. Tale criterio è coerente con un approccio prudenziale alle valutazioni e quindi con il concetto che, allorquando l’utilità o la funzionalità originaria misurata dal valore (costo) originario si riduce, si rende necessario modificare tale valore tramite il valore di realizzazione desumibile dal mercato”
Il Principio Contabile 13 ribadisce anche un altro concetto cioè che il metodo generale per la determinazione del costo dei beni è il costo specifico. Questo metodo identifica i singoli beni acquistati ed i relativi costi ed è adottato nei casi in cui le voci delle rimanenze non sono intercambiabili. E’ necessario quindi individuare e attribuire alle singole unità fisiche dei costi sostenuti per le unità medesime.
Come valutare invece le rimanenze in magazzino intercambiabili, ovvero i beni fungibili?
Il Principio Contabile Oic 13 ci dice che per i beni fungibili, in alternativa al costo specifico, possiamo utilizzare uno dei seguenti metodi di calcolo del costo:
- Primo entrato, primo uscito detto anche FIFO: metodo del primo entrato primo uscito, detto anche FIFO (first-in, first out: gli acquisti o le produzioni più remoti sono i primi venduti). Secondo tale metodo si assume che le quantità acquistate o prodotte in epoca più remota siano le prime ad essere vendute od utilizzate in produzione; per cui restano in magazzino le quantità relative agli acquisti o alle produzioni più recenti;
- Costo medio ponderato: secondo tale metodo le quantità acquistate o prodotte non sono più individualmente identificabili e fanno parte di un insieme in cui i beni sono ugualmente disponibili. Il costo di ciascun bene in rimanenza è pari alla media ponderata del costo degli analoghi beni acquistati e prodotti durante l’esercizio;
- Ultimo entrato, primo uscito cosidetto LIFO a scatti: metodo anche detto last-in, first out, gli acquisti o le produzioni più recenti sono i primi venduti). Tale metodo assume che le quantità acquistate o prodotte più recentemente siano le prime ad essere vendute od utilizzate in produzione; per cui restano in magazzino le quantità relative agli acquisti o alle produzioni più remote.
Al Lifo a scatti si contrappone un’altra modalità di valutazione, il Lifo continuo che si differenzia in quanto le regole da quest’ultimo previste si applicano ad ogni acquisto anziché annualmente a fine esercizio. L’ultima merce ad entrare è sempre la prima ad uscire.
La valutazione delle rimanenze di magazzino secondo il Tuir
La valutazione fiscale delle rimanenze di magazzino è disciplinata dall’articolo 92 comma 1 e seguenti del DPR n. 917/86 (Testo unico imposta sui redditi).
Secondo il TUIR le rimanenze in magazzino di merci o materie devono essere valutate singolarmente al costo specifico, ribadendo quindi il metodo di valutazione sancito nell’ Oic13), ed ove ciò non sia possibile, vanno valutare raggruppandole in classi omogenee.
Nel primo esercizio in cui si verificano, le rimanenze sono valutate attribuendo ad ogni unità il valore risultante dalla divisione del costo complessivo dei beni prodotti e acquistati nell’esercizio stesso per la loro quantità.
Negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze è aumentata rispetto all’esercizio precedente, le maggiori quantità vengono valutate sempre al costo specifico e costituiscono voci distinte per esercizi di formazione. Se la quantità è diminuita, la diminuzione si imputa agli incrementi formati nei precedenti esercizi, a partire dal più recente.
L’articolo 92 del Tuir ribadisce la necessità di dare un valore minimo alle rimanenze, e non rileva alcuna necessità di distinguere tra beni fungibili e infungibili: il Tuir riconosce la piena validità fiscale di tutti i metodi previsti dal codice civile (Lifo, Fifo, media ponderata, andamento del mercato).
Se le giacenze in magazzino verranno valutate con un metodo diverso da quello previsto dal codice civile, la normativa fiscale sottolinea che “il risultato della stima non potrà mai essere inferiore a quello ottenuto utilizzando il metodo del Lifo a scatti”.
La scritture contabili delle rimanenze di magazzino
Al termine dell’’esercizio, non appena sia stato effettuato l’inventario fisico delle rimanenze di merci, di semilavorati, di prodotti in corso di lavorazione, di prodotti finiti e degli eventuali imballaggi aventi natura non durevole, si procederà alla loro valutazione.
I valori ottenuti andranno imputati in bilancio mediante le seguenti scritture contabili, diverse per categoria:
- Prodotto finiti (Sp) a Variazione rimanenze prodotti finiti (Ce)
- Materie Prime (Sp) a Variazione rimanenze materie prime (Ce)
e così pure anche per le altre tipologie di rimanenze summenzionate.
All’inizio dell’esercizio, dopo le scritture di riapertura, le rimanenze finali precedentemente patrimonializzate dovranno essere imputate, come rimanenze iniziali, a Conto Economico.
La scrittura contabile in partita doppia sarà:
- Rimanenze iniziali di Prodotti Finiti (Ce) a Prodotti Finiti (Sp)
- Rimanenze iniziali di Materie Prime (Ce) a Materie Prime (Sp)
Ma la valutazione estimativa dell’inventario fisico dei tessili, delle rimanenze di merci, di semilavorati, di prodotti in corso di lavorazione, di prodotti finiti e degli eventuali imballaggi aventi natura non durevole, è realmente così?
Nel tessile ci sono però anche variabili legati agli attributi stilistici e tecnici che rappresentano nel commerciale e/o nel marketing il “medium di relazione tra produttore ed utilizzatore” e quindi sono da considerarsi come “attributi di intercessione” che consentono di connettere i fini, gli obiettivi, le risorse, le attività e pertanto il vero VALORE di ciascun prodotto tessile.
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