Sicurezza d’uso e rischio prevedibile nei prodotti moda
Questa pagina, dedicata al tema “Sicurezza prodotto moda e rischio prevedibile”, ti guiderà passo dopo passo alla comprensione di cosa stabilisce la legge, quali sono gli obblighi tecnici e informativi per i produttori e distributori, e come una perizia tecnica forense può accertare la presenza di una responsabilità anche in assenza di un difetto costruttivo. Se sei arrivato su questa pagina, è molto probabile che tu stia cercando risposte concrete a domande come …Un prodotto moda può essere pericoloso anche se apparentemente innocuo? …Quando un articolo è davvero sicuro per l’uso previsto? …Di chi è la responsabilità se un capo provoca un danno? …Qual è il confine tra colpa del consumatore e obblighi del produttore? o …È sufficiente la marcatura CE o servono anche istruzioni d’uso?
Sono interrogativi legittimi, spesso sottovalutati da chi opera nel mondo della moda o da chi si è trovato coinvolto — come consumatore, azienda o legale — in un contenzioso legato a un danno da prodotto. In anteprima rispondiamo alle domande più frequenti ma prosegui nella lettura se vuoi capire nel dettaglio tutte le problematiche.
Cosa si intende per “rischio prevedibile”?
È il rischio che può manifestarsi anche in assenza di un difetto meccanico, ma per una lacuna progettuale o informativa, in relazione a un comportamento dell’utente che, pur non standard, è ragionevolmente prevedibile.
Un articolo moda può essere considerato un DPI?
Sì, se progettato per proteggere da rischi. In tal caso, deve rispettare il Regolamento (UE) 2016/425 e fornire istruzioni, marcatura CE, e dichiarazione di conformità.
È obbligatoria una perizia se manca la marcatura CE?
Non sempre, ma può essere determinante per verificare se il prodotto doveva essere classificato come DPI o se l’assenza d’informazioni ha contribuito al danno.
Le avvertenze sono sempre necessarie?
Sì, soprattutto per limitare usi rischiosi, indicare le condizioni d’impiego e informare l’utente su possibili controindicazioni o precauzioni d’uso.
Quando un prodotto moda può diventare “pericoloso”
La sicurezza dei prodotti moda — abbigliamento, calzature, accessori, tessuti e pelletteria — non può essere trascurata: anche articoli apparentemente innocui possono causare danni fisici, dermatiti o lesioni se non sono progettati e informati correttamente.
La base normativa: la Direttiva 2001/95/CE sulla sicurezza generale dei prodotti (recepita in Italia nel Codice del Consumo) impone che ogni bene posto in commercio sia sicuro in condizioni d’uso normali o ragionevolmente prevedibili. Il produttore ha l’obbligo di prevenire i rischi attraverso la progettazione, l’informazione e, se necessario, il ritiro del prodotto.
Nel mio lavoro forense ho esaminato casi in cui guanti in materiali sintetici hanno causato dermatiti allergiche, scarpe vendute come “da esterno” hanno provocato scivolamenti per assenza di grip, o accessori metallici hanno provocato ustioni per esposizione solare.
Tutti questi casi sollevano interrogativi fondamentali:
- L’uso che ha causato il danno era prevedibile?
- L’etichetta o le istruzioni informavano correttamente?
- Il rischio era evitabile con una progettazione diversa?
Una perizia tecnica forense consente di ricostruire dinamicamente il contesto d’uso e le responsabilità progettuali e informative.
Il “rischio prevedibile” e la responsabilità del produttore
Nel quadro normativo europeo e nazionale, la responsabilità del produttore per i danni causati da un prodotto difettoso non si limita alla sola presenza di un guasto tecnico o a un errore di fabbricazione. Ai sensi del Codice del Consumo (artt. 114-127), il produttore è chiamato a rispondere in modo oggettivo, ovvero anche in assenza di colpa, se il danno subito dal consumatore deriva da un difetto del prodotto. Ma cos’è davvero un “difetto”? Non si tratta solo di una rottura meccanica o di una cattiva funzionalità, bensì anche di una carenza informativa, ovvero della mancanza di quelle indicazioni necessarie a garantire un uso sicuro, conforme e consapevole del bene.
Il concetto di rischio prevedibile si inserisce proprio in questo contesto: se un prodotto, pur tecnicamente funzionante, viene utilizzato in un modo che era ragionevolmente anticipabile e in quel contesto genera un danno, e se tale evento era gestibile o prevenibile attraverso un’adeguata progettazione o un’informazione trasparente, allora la responsabilità del produttore è pienamente configurabile. Non è necessario, ad esempio, che l’utilizzatore abbia compiuto un uso improprio nel senso di deliberatamente scorretto; è sufficiente che abbia agito in modo coerente con le aspettative comuni per quel tipo di articolo, in mancanza di avvertenze o istruzioni contrarie. In questo senso, la responsabilità da prodotto difettoso può derivare tanto da un’omissione informativa quanto da un vizio costruttivo, rendendo essenziale una perizia tecnica in grado di ricostruire il contesto d’uso e valutare la prevenibilità del danno.
DPI nella moda: quando il prodotto è anche un dispositivo
Nel settore moda, esistono prodotti che, oltre ad avere una funzione estetica o commerciale, svolgono anche una funzione protettiva, e per questo possono rientrare nella definizione giuridica di Dispositivo di Protezione Individuale (DPI) secondo il Regolamento (UE) 2016/425. Si tratta di articoli concepiti e realizzati per proteggere l’utilizzatore da un rischio specifico — fisico, meccanico, chimico o ambientale — che può manifestarsi durante l’uso previsto. In questo senso, il confine tra moda e sicurezza si assottiglia, e gli obblighi per il fabbricante aumentano considerevolmente.
Rientrano in questa categoria, ad esempio, le calzature con suole antiscivolo, impiegate in contesti professionali o climaticamente instabili; i guanti resistenti al taglio o al freddo, utilizzati anche in ambito urbano o sportivo; le mascherine filtranti vendute come accessori tecnici durante fasi epidemiche o in ambienti polverosi; oppure ancora occhiali con lenti protettive contro raggi UV o urti accidentali. In tutti questi casi, il prodotto non può più essere considerato alla stregua di un semplice capo o accessorio moda, ma assume lo status di DPI.
Di conseguenza, il produttore è tenuto a rispettare una serie di obblighi normativi imprescindibili: la marcatura CE diventa obbligatoria, a conferma che il prodotto è stato valutato secondo standard europei armonizzati; deve essere redatta una dichiarazione di conformità, che attesti la conformità alle specifiche categorie di rischio e alla normativa applicabile; devono inoltre essere fornite istruzioni d’uso, manutenzione e limitazioni operative, scritte in modo chiaro e comprensibile per il consumatore medio. L’assenza di uno solo di questi elementi — documentale, simbolico o informativo — può far sì che il prodotto venga considerato non conforme e potenzialmente pericoloso, esponendo il produttore a responsabilità civili, penali e amministrative.
La mia esperienza come CTU / CTP nel settore moda
Nel corso della mia attività come consulente tecnico forense, ho svolto incarichi sia in qualità di CTU nominato dal giudice, sia come CTP incaricato da privati, aziende e studi legali, in procedimenti riguardanti articoli e accessori di moda. In particolare, mi sono occupato di casi nei quali il danno derivava non da un guasto funzionale evidente, bensì da problematiche legate a materiali, uso prevedibile e informazione insufficiente.
Ho analizzato, ad esempio, episodi di dermatiti da contatto provocate da fibre sintetiche non dichiarate, in soggetti predisposti che non avevano ricevuto adeguate avvertenze. In altri casi, mi è stato richiesto di valutare le circostanze in cui calzature prive di certificazione antiscivolo abbiano favorito cadute e infortuni in ambienti umidi o industriali, pur essendo pubblicizzate come adatte a tali contesti. Ho inoltre approfondito eventi in cui accessori metallici come fibbie, borchie o cinturini hanno generato abrasioni o reazioni allergiche, in assenza di indicazioni circa la presenza di nichel o altre sostanze sensibilizzanti. Non sono mancati poi casi in cui la totale mancanza di istruzioni d’uso o manutenzione ha portato a un deterioramento rapido del prodotto e a conseguenti danni o controversie.
In tutti questi incarichi, l’approccio seguito è stato improntato a rigore metodologico e trasparenza tecnica, con l’obiettivo di ricostruire in modo oggettivo il comportamento del prodotto e la sua interazione con l’utilizzatore medio, tenendo conto del contesto d’uso, della documentazione tecnica disponibile, delle norme di settore e degli obblighi informativi previsti per legge.
Quando è necessario ricorrere a una perizia tecnica
La perizia tecnica in ambito moda può rappresentare uno strumento determinante in numerosi scenari, sia in fase preventiva che in sede contenziosa. È consigliabile richiederla ogni volta che esista un dubbio fondato sulla sicurezza, la conformità o la qualità informativa di un prodotto.
Nel caso di danni fisici o dermatologici subiti da un consumatore, una perizia può chiarire se il prodotto fosse effettivamente difettoso o se vi sia stata una mancanza di avvertenze, contribuendo a individuare eventuali responsabilità del produttore o del distributore. In ambito aziendale, la consulenza tecnica è essenziale per valutare la conformità di un articolo prima dell’immissione sul mercato, soprattutto se si tratta di prodotti destinati all’estero, a uso tecnico, o con particolari vincoli normativi (es. DPI, REACH, etichettatura).
Nel corso di procedimenti giudiziari, la perizia può assumere un valore probatorio fondamentale, sia come controperizia di parte (CTP) utile a supportare un’impugnazione, sia come analisi critica rispetto alla CTU disposta dal giudice. Infine, anche in assenza di un contenzioso formale, molte aziende richiedono audit tecnici volontari su collezioni o lotti in uscita, proprio per prevenire problemi con fornitori, distributori, clienti o autorità di controllo.
In tutti questi casi, il perito forense rappresenta una figura chiave per unire competenza tecnica, visione normativa e capacità di valutazione imparziale.
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